STORIA DI IRENE – Erri De Luca
Una fiaba in prosa poetica. Versi
profondi come il Mar Egeo che circonda l’isola di Flores; lievi come le onde “a
riccioli di burro” che ne lambiscono le coste; leggeri come la brezza che
smuove la folta e bionda capigliatura di Irene, l’adolescente che lì dimora. Creatura
venuta dal mare della quale nulla si conosce se non l’evidente stato di
gravidanza, Irene è guardata con diffidenza e sospetto dagli abitanti della
piccola isola, che si percorre “da un capo all’altro con un giorno di cammino”.
Non se ne cura la silenziosa fanciulla, abituata ad essere trattata da tutti
come “un’ombra sul muro”. Matrigna è la terraferma con Irene, mentre il mare,
nel quale si immerge nelle ore notturne, l’abbraccia e l’accarezza. Nuota con i
delfini Irene; con loro vive e comunica da amica, sorella, madre; li considera
la sua vera famiglia. La comunità dei cetacei l’ha amorevolmente accolta più di
quanto non abbiano fatto le donne e gli uomini del posto.
Solo con lui Irene comunica, con lo
scrittore anch’egli venuto dal mare che le racconta storie e vuol conoscere la
sua storia. Hanno bisogno di storie gli uomini per “accompagnare il tempo e
trattenerne un poco”. Sono storie senza finale, osserva Irene; storie che si
fermano un attimo prima. Ne è consapevole lo scrittore che le storie non le
inventa; le raccoglie come “resti lasciati dalle processioni della vita”. Ma
della storia di Irene conoscerà il finale perché lui è lì, in stato di
emozionata latenza, a viverla con lei, a prospettare evoluzioni differenti che
il futuro potrebbe riservarle: giovani maschi, musica, balli, amore, bambini e
il rispetto della gente. Sorride Irene e si discosta dallo scrittore
lasciandolo ancora una volta senza il finale, perché la storia di Irene
comincia da sé stessa, senza il tempo accordato prima, senza le lusinghe del
futuro …. è bellezza pura che si immerge nel mare, con un sorriso “a tutte le Irene
che non sono lei stessa, però potevano”.
Un
finale didascalico come si conviene ad ogni fiaba; la consapevolezza delle
priorità della vita reale mediata da una storia fantastica; la solitudine
vissuta non come forzato isolamento ma come sublime forma di libertà
costituiscono gli spunti di riflessione sui quali la storia induce a meditare.
Le nuotate notturne della bimba delfino che non teme il buio e gli abissi
rimanda al gabbiano uomo che non ha paura di volare sempre più in alto; Irene e Jonathan Livingston,
nella bellezza di tuffarsi nel mare o librarsi nel cielo , esprimono il significato
profondo della vita: la ricerca della libertà. Quella libertà alla quale tante
persone ambiscono ma a cui rinunciano
per paura di essere giudicati, per becera ipocrisia, per falsa morale.
Irene incarna quella meravigliosa idea di
tensione sincera e decisa verso la verità; aspira
ad un ideale diverso di libertà, di spazi e cieli azzurri, di soffio di vento e mare spumeggiante. Diventa
così il simbolo di chi ha il coraggio di seguire la propria legge interiore
senza lasciarsi influenzare dai pregiudizi degli altri e tutta la sua storia si
connota come una metafora per riflettere
sulla condizione umana troppo spesso costretta in schemi e ruoli ingessati che
non lasciano spazio alla fantasia, alle aspirazioni, ai sogni.
Daniela
Gerundo