domenica 27 aprile 2008

Comunicazione unificata: scrivere nell'era 2.0

NOVITA' IN LIBRERIA

La Solitudine dei numeri primi

di Paolo Giordano

Suscita antipatia da subito l’ingombrante figura del padre di Alice, la protagonista del racconto; l’uomo cerca nella figlia il riscatto delle proprie frustrazioni, sottoponendola, ancora bambina, ad un estenuante allenamento sciistico tanto intenso quanto sgradito alla piccola che rimane vittima di un incidente di cui porterà i segni a vita.
L’oppressivo genitore mi ha fatto tornare in mente un episodio visto recentemente in televisione, di un padre, allenatore della propria figlia nuotatrice, che ha tentato di malmenarla al termine di una deludente prestazione sportiva. Il tutto davanti a migliaia di attoniti spettatori che seguivano i campionati di nuoto sul posto e in televisione.
Proseguendo nella lettura conosciamo l’altro protagonista, Mattia, vittima dell’incapacità dei genitori di coalizzarsi nell’affrontare i problemi quando piombano con tutta la loro forza devastante sulla normale quotidianità di una vita tranquillamente preordinata.
Dimentichi dell’esigenza di consentire, comunque, al bambino una sana crescita, i genitori di Mattia lo caricano di responsabilità sovradimensionate alla maturità della sua fase evolutiva, tanto da farlo rimanere schiacciato sotto il peso delle conseguenze di un errore di valutazione tipico della sua età.
La singolarità di queste esperienze pregresse renderà i due protagonisti simili ai numeri primi gemelli, finendo per creare problemi anche ai numeri naturali che hanno la malaugurata sorte di trovarsi inseriti tra di essi, rimanendo vittime delle loro inconsce, sottili perversioni.
Nell’evoluzione delle rispettive esistenze i due protagonisti devono relazionarsi, loro malgrado, con altri personaggi ben caratterizzati : Denis, l’amico omosessuale; Viola, bella e impossibile; la falange compatta e spietata delle quattro compagne; Soledad, la governante complice; i genitori, ansiogeni e ansiosi; e poi ancora Nadia, innamorata di Mattia, e Fabio che sposerà Alice .
Il bagaglio di problemi che tutti loro portano in dotazione è tipico del mondo
attuale: anoressia, bulimia, omosessualità, bullismo, solitudine. Problemi che affondano le radici nel fertile humus delle conflittualità famigliari irrisolte, dei lutti non elaborati, delle aspettative disattese.
L’incapacità di imprimere una svolta positiva al loro percorso di vita deriva dall’anaffettività di Mattia e dall’insicurezza di Alice, e dal loro imprevedibile agire, governato dai fantasmi del traumatico vissuto degli anni giovanili.
Sorprendente il finale che sembra suggerito dalla maturità esperenziale di una persona adulta e non da un giovane scrittore; costituisce il giusto approdo dei protagonisti ad una indipendenza fisica ed emotiva a cui dovrebbero tendere tutti gli esseri umani, ma che si conquista solo dopo aver percorso gli itinerari delle assurdità e delle contraddizioni di questo mondo.
Le ultime quattro parole a chiusura del racconto dissipano quel sottile velo di tristezza che ha avvolto la storia, svelando una Alice ormai affrancata dal dolore, che si appresta ad affrontare la vita con un approccio ottimista e con una piena consapevolezza di sé.
Narrato con scrittura secca, priva di sbavature, il racconto sembra risentire della formazione scientifica del giovane scrittore, laureato in fisica, che spesso coglie spunti per evidenziare il suo bagaglio culturale. Lo fa nel titolare i capitoli (Principio di Archimede, Messa a fuoco…), nel riportare le osservazioni di Mattia sempre attente al dettaglio fisico-matematico: tensione superficiale del liquido, direzione degli assi cartesiani, complicate sequenze numeriche. Viene analizzata con freddezza anche una magica aurora sul Mare del Nord, studiata nelle componenti date dalle spinte centrifughe e centripete, dalle forze sbilanciate, dalla meccanica.
Coerente e consequenziale, il racconto viaggia sui binari della razionalità senza deragliare nel becero sentimentalismo.
Tecnicamente ineccepibile nella costruzione della storia e dei personaggi che vengono sezionati con il distacco emotivo di un anatomopatologo la narrazione risente, comunque, dell’assenza di quel pathos che coinvolge il lettore impegnandolo emotivamente.
Decisamente apprezzabile che l’autore abbia ignorato l’inflazionata consuetudine giovanilistica di far ricorso a testi o titoli di canzoni per esprimere sensazioni o sentimenti. Si nota, però, qualche “ Uaooo…” di troppo; giusto per ricordarci che a scrivere è un giovane di 26 anni, laureato in fisica, con dottorato di ricerca, al suo primo romanzo.

Daniela
CONTATTATO DALL'I.T.A.S." Maria Pia" ATTRAVERSO LA SUA CASA EDITRICE, LA ZANICHELLI, ABBIAMO AVUTO IL PIACERE DI OSPITARE BIJAN ZARMANDILI, CHE HA PRESENTATO IL SUO ULTIMO LIBRO


L’ESTATE E’ CRUDELE

BIJAN ZARMANDILI


L’ho letto in poche ore, nel treno che mi portava in vacanza a Milano.
Il mio soggiorno è coinciso con le manifestazioni per i 160 anni delle “5 giornate di Milano” che si svolsero dal 18 al 22 marzo 1848, anno destinato a passare alla storia come sinonimo di stravolgimento totale.
Merita il giusto risalto questa rivoluzione – guerriglia cittadina che colse impreparati i soldati austriaci, addestrati a combattere in campo aperto e non tra vicoli ostruiti da barricate.
La fiera volontà dei milanesi di riappropriarsi della propria terra, della propria indipendenza, libertà, ispirò una lotta comune combattuta abbattendo ogni barriera sociale e coniugando anime profondamente diverse. Cinque giornate in cui l’orgoglio degli aristocratici, la caparbietà dei borghesi, l’ardore degli intellettuali, il coraggio del popolo scrissero una delle pagine più significative della storia della nostra Nazione.
Unità di intenti e di sentire che, nella storia narrata dallo scrittore iraniano B. Zarmandili pervade gli animi della popolazione che contrasta il mutamento strutturale in atto nell’Iran di Reza Pahlavi.
Il 1963 è l’anno della “rivoluzione bianca”, dell’introduzione di riforme sociali ed economiche attraverso le quali lo scià, che godeva della protezione degli Stati Uniti, intendeva dare all’Iran uno stile di vita occidentale. In effetti, in Iran si determinarono squilibri sociali tra ristretti circoli di affaristi legati alla corte e la popolazione sempre più affamata che manifestò il proprio dissenso organizzandosi in piccoli focolai rivoluzionari. La Savak, polizia segreta, soffocò i tentativi di rivolta operando arresti di massa, torture e uccisioni ma non poté fare lo stesso con il clero sciita che propagandava la rivoluzione dai luoghi di preghiera. Dopo alterne vicende e la fuga dello scià, nel 1979 fu proclamata la Repubblica Islamica.
La storia d’amore di Maryam e Paviz narrata nel libro è ambientata negli anni in cui in Iran soffia forte il vento del dissenso, sradicando assetti resi stabili dalla sedimentazione degli strati calcarei della corruzione, convenienza, complicità, propaganda di regime, repressioni, torture.
Un amore che nasce e cresce tra fughe improvvise, lunghe assenze, silenzi forzati generati dal prorompere di una passione ancora più grande: la passione sociale, della propria storia, della propria terra.
Il percorso degli ideali, costellato da pedinamenti, intercettazioni, spionaggi, trasferte è però destinato a bloccarsi al capolinea del tradimento perpetrato da un compagno di lotta, Sirus, che incarna i limiti dell’umana debolezza, posto di fronte all’alternativa tra una morte causata da atroci torture e la salvezza assicurata dalla negazione dei propri principi.
Maryam e Paviz scelgono la strada del non ritorno fino alle estreme conseguenze, consentendo all’autore di scrivere pagine di intenso lirismo, pervase dal sentimento dell’umana pietas di fronte allo scempio del corpo della giovane donna.
Mentre feroci aguzzini la torturano a morte Maryam si astrae dalla brutalità attraverso il pensiero che, sostenuto dai dolcissimi versi della poetessa Forugh Farrokhzad, corre lontano facendole rivivere i momenti più belli della sua storia d’amore dalla quale è nato il piccolo Kevian.
E’ l’estate del 1978, sadica, carnefice; un’estate crudele di morte contrapposta alla bella estate romana del ’60 che vide sbocciare l’amore tra i due studenti iraniani.
Seppure raccontata col rigore dell’informazione giornalistica la storia narrata da Zarmandili è destinata a lasciare il lettore attonito di fronte all’evidenza del potere devastante dell’odio, della ferocia; dello smarrimento del senso della pietà, della solidarietà e della coerenza.
L’amarezza e il disincanto ci derivano dalla constatazione dell’attualità della storia narrata che continua a ripetersi, anche se con modalità diverse, in momenti diversi, in zone diverse , con nomi diversi e con ideali diversi, ed anche senza ideali; a volte solo con l’idea che la partecipazione ad una missione di pace può accelerare i tempi per l’acquisto dell’appartamento e consentire una vita un po’ più agiata, quando si ha la fortuna di poter continuare a vivere.

Nel libro vengono citati Forugh Farrokhzad (1934 – 1967) la prima donna iraniana che con la sua poesia sfidò la tradizione islamica, meritandosi l’appellativo di “poetessa del peccato” per la sensualità e la carica erotica della sua scrittura; e Sadegh Hedayat (1903 – 1951) considerato il più grande scrittore iraniano del ‘900, autore de La civetta cieca, un romanzo visionario intriso di allucinazioni e incubi. Solitudine, senso di vuoto, pessimismo morboso sono i temi ricorrenti della sua opera letteraria spesso composta sotto gli effetti dell’oppio, in cui si rifugiava per proteggersi dalla delusione della vita.


Daniela

venerdì 25 aprile 2008

23 aprile - GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO
In Catalogna, dove da anni i libri invadono le piazze, il 23 aprile, festa di San Giorgio,è usanza che gli uomini regalino alle donne una rosa e ricevano in cambio un libro.
San Giorgio uccise il Drago e dal suo sangue nacque una rosa che regalò alla principessa appena salvata.
Vi racconto......
TRAUMA
di Patrick McGrath
Lo scrittore inglese Patrick McGrath (Londra 1950) ha trascorso molta parte dei suoi anni giovanili nel manicomio criminale di Broadmoor, dove il padre prestava la sua opera come psichiatra.
Deludendo (come ogni buon figlio dotato di libero arbitrio) le aspettative del suo babbo, che intendeva passargli il testimone di una professione “da manicomio”, Patrick decide di percorrere la non meno impervia strada della scrittura.Conserva, tuttavia, familiarità con i temi e i problemi che hanno accompagnato la sua crescita fra manicomi e ospedali, e nel giro di due lustri pubblica una decina di libri.
Da pazzi leggerli tutti, ma soffermandoci sulle recensioni ci sembra di vedere Patrick con la tuta da palombaro intento a scandagliare i torbidi fondali dell’umana psiche; oppure in divisa da pongista impegnato a tenere in gioco la pallina della narrazione rimandata dalle racchette dell’IO e dell’ES, con risultati che a volte lo fanno assomigliare al cugino invidioso di Alfred Hickok.
E tanto ci basta di lui.
Un po’ di attenzione merita anche il suo traduttore Alberto Cristofori.Nato a Milano nel 1961.Diplomato in pianoforte.Laureato in lettere.Autore di manuali di educazione musicale e di vari testi scolastici.Traduttore di McGrath, Potok, Makhmalbaf e moltissimi altri.Che dovesse essere milanese lo avevo intuito dall’espressione “andare a ramengo” a pag.212.Quello che non so è se la caduta di tensione emotiva, dopo aver letto circa 100 pagine, è dovuta alla sua asettica traduzione o ad un inevitabile esaurimento del filone “Thriller Psicologico” da parte dell’autore, visto che in “Trauma”, fino ad allora, di traumatico non succede proprio niente.I personaggi riproducono fedelmente i déjà vu del genere: uno psichiatra frustrato, una madre depressa, un fratello realizzato, la bambina che rompe, la moglie scoppiata, l’amante psicopatica …tutti impegnati a dimenarsi in storie di ordinaria normalità mentre al di fuori del loro microcosmo, circoscritto dalle pulsioni più elementari, è la devastazione causata dalla guerra del Vietnam.
A pag.101 finalmente la componente onirica prende il sopravvento mettendo a nudo il soggetto traumatizzato, nel caso Nora, per la quale si prospetta il doloroso passaggio dal ruolo di amante a quello di paziente. In realtà, in zona Cesarini sapremo che il traumatizzato è proprio lo psichiatra. Ma vaa..?!
Dilaniato dal dolore causatogli dal rapporto conflittuale con la madre, dal disprezzo del padre, dalla gelosia per il fratello, dalla nostalgia per la moglie, il pensiero ricorrente in Charlie Weir è il desiderio di “casa”, luogo sicuro dove si coltiva l’amore in tutti i suoi aspetti, quell’amore che gli viene negato da chi invece avrebbe dovuto dispensargliene con continuità.
Una curiosità. In un racconto dove le relazioni sessuali vengono appena accennate e solo per sottolinearne la funzione catartica, giunti a pag. 76 leggiamo “mentre mi alzavo per salutarla col pene che si induriva…”
E che c’azzecca ?….direbbe l’illetterato giudice molisano! Un dettaglio irrilevante nel contesto della narrazione. E poi… che pena chiamarlo scientificamente pene! Fosse stato un racconto erotico la fantasia si sarebbe sfrenata spaziando dal canonico c…o, ai più coloriti mazza, verga, canna, scettro…provocando nel lettore un elettroshock ai neuroni ormai disattivati dall’andamento soporifero del racconto.Racconto reso comunque fruibile dall’assenza di rimandi particolarmente colti, tecnici, scientifici, tanto che alcune considerazioni più che dagli studi di uno psichiatra sembrano scaturire dalla saggezza della casalinga di Voghera…..
“Sono sempre i malati che cercano i guaritori, gli smarriti che trovano i padri…” pag.78
“Tutto assume colori inediti quando viene narrato a un nuovo amore…” pag.79
“L’amore maturò grazie alla condivisione delle attività quotidiane e all’attenzione costante verso l’altro..” pag.93
E così, forse dovremo ricorrere alla consulenza del Mago Otelma per conoscere le risposte ai tanti interrogativi che restano irrisolti alla fine del racconto: conoscere la patologia di Nora; i motivi del rabbioso rancore della madre nei confronti di Charlie; perché Agnes resta vittima delle sue insicurezze; sapere se Walt è solo ferito o muore; che ruolo ha Joan Bachinski che compare solo alle ultime pagine; e poi le ultime parole a chiusura del libro “stavo per tornare a casa”. Ma quale casa? E con chi? Scribendi recte sapere est principium et fons.
Daniela
CINEMA CHE PASSIONE....
nel mio caso la passione è per l'attore
Javier Bardem


NON E' UN PAESE PER VECCHI
diretto da Joel e Ethan Cohen
tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy

Alla fine, la morale che si desume dalla visione del film è “non dar da bere agli assetati”, considerato che una caritatevole azione da buon cristiano costa a Llewelyn Moss, l'uomo che trova una valigia piena di dollari, lo sterminio della sua famiglia. E non solo. Nel corso di una “caccia al ladro” ambientata tra il Messico e gli Stati Uniti, la corsa ad ostacoli dei concorrenti al premio Oscar per l'avidità vede stramazzare ai margini delle varie piste (aeroporti, autostrade...) un numero di morti degno dei migliori OK Corral, in una escalation di violenza gratuita ed esasperata che sembra essere il leit motiv del film.
Il tragico epilogo di un prologo dalle premesse poco rassicuranti è la morte violenta dello stesso Llewelin, un uomo che era stato capace di sopravvivere alla guerra del Vietnam, ad una moglie un po' scema, ad una suocera petulante.
Llewelin, occasionale cacciatore tutto sommato onesto, non ha saputo rinunciare alla possibilità di dare una svolta radicale alla propria modesta esistenza da saldatore, anche se la fortuna gli si è presentata in modo eticamente scorretto: la valigia contenente due milioni di dollari, corredata di sensori, era accanto ad un cadavere. L'eccessiva tensione creata nello spettatore dalla crudezza delle scene violente viene smorzata da occasioni di dialoghi di natura morale, introspettiva, retrospettiva sui quali i vari protagonisti si confrontano, connotandoli di pretese didascaliche.
La scelta del doppio registro stilistico dell'alternanza degli eventi con le riflessioni sembra essere motivato dall'esigenza di sostenere e riempire di contenuti escatologici una trama dagli esiti scontati che ha come chiave di lettura la vittoria del binomio ricchezza-violenza sui valori onestà-solidarietà.
In realtà lo scheletro portante del film, generosamente premiato, è lui, Javier Bardem, l'imperturbabile killer Anton Chigurg, Florentino Ariza de “L'amore ai tempi del colera”; frate Lorenzo de “L'ultimo inquisitore”.
Presenza scenica ingombrante e carisma esuberante oscurano un po' gli altri personaggi, comunque studiati con attenzione nelle loro caratterizzazioni: il commerciante, lo sceriffo, l'aiutante...
Anche pettinato con una acconciatura “copia e incolla” da Shel Shapiro, il famoso leader dei Roks, e armato di una pistola “ a punzone” ad aria compressa ( un’arma pneumatica usata negli impianti di macellazione delle carni per stordire gli animali prima di provocarne la morte per dissanguamento) modificata e potenziata per renderla letale, l'inquietante killer conserva una dimensione umana conferitagli dal rispetto di personalissimi codici deontologici.
Si muove con incedere sicuro e determinato, con l'espressione algida dell'anaffettivo che ha già chiuso tutti i conti col mondo. La fissità dello sguardo è quella di chi non conosce terremoti emotivi, ma persegue l'unica meta che si è prefissato nella vita; caparbietà già testata da Javier Bardem nei ruoli dei precedenti film. Ruoli da perseverante, modellati con la perfezione di abiti sartoriali su una personalità prorompente da protagonista incontrastato, capace di imprimersi nella memoria dello spettatore che, a distanza di tempo, del film dimenticherà molto, ma non lui, il suo viso singolare, l'irregolarità di quei tratti che sembrano predestinarlo a personaggi dalle tinte forti.
Ha gioco facile in questo film ambientato in un paesaggio texano dalle connotazioni simili all'animo perverso dello spietato killer: arido, bruciato, inospitale, piatto.
La strada che porta al denaro sarà tracciata dal sangue delle numerose vittime, ma non dal suo, anche se il destino riesce dove altri hanno fallito: un casuale incidente d'auto lo tramortisce. Ma lui esce dall'auto e, seppure malconcio, politraumatizzato e con una frattura scomposta al braccio, si allontana sulle sue gambe.
Che i fratelli Coen o Cormac Mc Carthy lo abbiano lasciato in vita per un sequel?

Daniela

P.S. Per chi proprio lo volesse sapere, riferiamo che il titolo del film è il primo verso di una poesia del poeta irlandese William Butler Yeats intitolata “ Sailing to Byzantium” in cui l’autore immortala le generazioni destinate a scomparire, e parla di ciò che “ è passato, sta passando e sta per venire”. Le parole sono di riferimento allo stato d’animo dello sceriffo che pensa alla sua imminente vecchiaia turbato dalla misteriosa natura del male e dalle sue devastanti conseguenze.

Difficile intervenire dopo la "Lettera di Sara"...semplicemente bella!
Un saluto a tutti e a presto

giovedì 24 aprile 2008

La sostenibile leggerezza di Sara

Sabato 1 marzo. Arrivo a scuola verso le 10.00 e, con il mio solito incedere with strong step and light soul , mi dirigo verso la palestra.
Entro nell’ufficio adiacente per le operazioni di rito : togliere la giacca, prendere il registro, aprire gli armadi degli attrezzi , quando l’allegro vociare che giunge dal corridoio mi fa capire che la V D è già arrivata.
Sto per uscire quando mi raggiunge un’alunna, Sara.
- Buongiorno prof, come va?
- Bene, è sabato, c’è il sole, deve andare per forza bene
- Beata voi prof, invece a me….
Mi parla fissandomi con i suoi grandi occhi scuri, lucidi e furbi, mentre con il visetto tondo e levigato cerca invano di assumere un’espressione preoccupata affinché la mimica facciale possa supportare la gravità di quello che vuole dirmi.
- Che è successo?
le chiedo modulando la voce su un tono basso e intimista, propiziatorio per confidenze catartiche
- Eh! Mio padre ha trovato nella mia borsa una lettera in cui un ragazzo mi scrive che è stato bello fare l’amore con me sul pavimento di casa mia…
- Oh Madonna !!!!
- Posso prendere la radio?
- C..certo, l’armadio è già aperto. Beh, e che ha fatto tuo padre?
le chiedo attonita
- Non mi parla più
risponde Sara mentre con la radio sotto il braccio si dirige verso la porta
- Ma come mai tuo padre è andato a curiosare dentro la tua borsa?
La incalzo incuriosita
- Boh? Forse per vedere se fumo! Il fatto è che i miei genitori sanno che non sono fidanzata; infatti quello non è il mio ragazzo…
Capisco che è il momento di bloccare l’esposizione dell’accaduto prima che scenda in imbarazzanti dettagli: sono sempre la prof, e un certo tipo di rapporto gerarchico devo pur mantenerlo. Quando in altre occasioni non li ho fermati in tempo, i racconti dei miei alunni hanno assunto connotazioni da narrativa hard. Anche questo è un segno del cambiamento dei tempi. Sono in questa scuola da circa 20 anni e fino a 10 anni fa certe cose me le raccontavano quando, già iscritte al primo anno di università fuori sede, nel periodo natalizio le alunne tornavano a scuola per salutare i professori.
Devio il discorso sulle reazioni dei genitori mentre ci avviamo verso la palestra.
- E adesso?
- Non mi stanno facendo uscire più, non mi rivolgono la parola
- Perché non provi a scrivergli una lettera?
- Eh, ci avevo pensato, ma non so cosa dire
- Se vuoi te la scrivo io
le suggerisco con un sorriso complice
- Davvero prof ?
In palestra ci accoglie un coro festante
- Prof, possiamo fare l’aerobica?
- Certo, la radio è qui. Sara, dirigi tu che io ti scrivo la lettera
- Miticaaaa… prof……..
urla felice mentre si affretta a sistemare la radio e le compagne.
Mi siedo poco distante, tanto per poterle controllare e, mentre firmo il registro e riporto le assenze , cerco di entrare nella testa di un padre tradito, offeso, violato negli affetti , in quanto di più caro ha al mondo: la sua figliola (rimando: assonanza con Tulliola, l’amata figlia di Cicerone) e la sua casa.
Cosa dire per contenere una reazione a catena che potrebbe minare equilibri coniugali resi, a volte, precari proprio dalla presenza dei figli, dalle discussioni e dai rimbrotti provocati dai loro comportamenti?
Devo fare in modo che la lettera sembri scritta da un’ adolescente ma, allo stesso tempo, devo essere persuasiva, devo trovare parole che preludano alla riconciliazione.
Prendo foglio e penna e comincio a scrivere

Miei cari genitori,
il silenzio che è sceso tra noi lo sto vivendo come un momento di riflessione e di introspezione, come penso stia accadendo anche a voi.
Guardando dentro me mi rendo conto di essere, a volte, un po’ superficiale e di avere stabilito, nella mia vita, una scala di priorità che sicuramente non corrisponde alla vostra. E deve essere così, altrimenti io non sarei un’adolescente se avessi già la maturità di giudizio che si acquisisce con il tempo e con le esperienze.
Le esperienze, positive o negative, sono sempre occasioni di crescita, e i giudizi di chi è già passato attraverso le fasi obbligate della crescita non possono scalfire le certezze che caratterizzano le stagioni della vita.
La certezza che ho oggi è quella di avervi deluso, ma più forte e radicata è la consapevolezza che voi non avete deluso me. Siete dei genitori straordinari e vi state comportando come è giusto che si comportino dei genitori feriti, che cercano di capire dove hanno sbagliato, e che si mettono in discussione. Voi non avete sbagliato nell’educarmi, ma io sono una ragazza quasi maggiorenne che ha avuto fretta di vivere la sua completezza come donna, animata dall’esigenza di sentirsi adulta alla vigilia di una maturità che presto mi porterà lontano da casa, lontano da voi che siete l’unico approdo sicuro nelle agitate acque dell’esistenza.
Io sono sicura di poter continuare a contare su di voi, perciò vi prego di non distruggere l’amore e la considerazione che avete per me.
Non mi sono mai drogata, non ho mai fatto o voluto il male degli altri, i comandamenti cristiani li rispetto quasi nella pienezza con la serenità di una ragazza che ha la fortuna di vivere in una famiglia meravigliosa.
Non vogliatemene per una sconsideratezza tipica dell’età, ma cerchiamo assieme di trasformare questa delusione in un’occasione di crescita comune e in un ritrovato ed approfondito dialogo tra una ragazza che si affaccia alla vita e i suoi stupendi genitori che continueranno a guidarla amorevolmente anche con la consapevolezza che la protezione non è una campana di vetro , al riparo della quale veder scorrere le vite degli altri, ma un abbraccio solidale e un sostegno forte negli immancabili incidenti di percorso.
Vi voglio bene
la vostra
Sara

Penso che dovrebbe andare bene così, ma è il caso che la legga alla diretta interessata per apportare modifiche o correzioni, specialmente negli intenti.
L’ora di lezione volge al termine, chiamo Sara per leggerle la lettera ma si avvicinano in gruppo, incuriositi e con evidente predisposizione alla compartecipazione emotiva.
Leggo a voce alta, seria, impostata e quasi mi commuovo da sola per quello che ho scritto. Alla fine le reazioni sono le più svariate, ma rispondenti alle singole personalità: la solare Sara mi abbraccia “ grazie, prof….”; la romantica Giorgia dice che le sono venuti i brividi; Ciccio lo scienziato si dichiara meravigliato per la singolare conduzione dell’evento da parte mia; Mario lo scanzonato ride a crepapelle; la riflessiva Alessandra fa notare a tutti che così, l’insulto subito dai genitori è doppio.
Forse ha ragione ma è il forte istinto di protezione a guidarmi nella scelta dei comportamenti da adottare nei loro confronti. Li vedo ancora piccoli ma quotidianamente bersagliati da messaggi troppo forti per la loro fragile psiche; stimolati da modelli vincenti che li fanno sentire sempre più perdenti; abbagliati da ideali di fisicità difficilmente riscontrabili nella maggior parte di loro; stressati da situazioni troppo competitive che li spingono a ostentare sicurezza attraverso l’assunzione di comportamenti da adulti: fumando, bevendo alcolici, consumando sesso senza sentimento.
La campana suona; c’è il cambio dell’ora e l’allegra brigata deve tornare in classe.
Per oggi i contenuti dell’ora di educazione fisica sono stati bypassati, ma è stata pur sempre un’ora di lezione utile a tutti.

mercoledì 23 aprile 2008

Accettazione invito

Sono qui, ma ancora non conosco "questo mondo". Giulia

Benvenuti

al blog del corso di didattica della scrittura!