venerdì 25 aprile 2008

CINEMA CHE PASSIONE....
nel mio caso la passione è per l'attore
Javier Bardem


NON E' UN PAESE PER VECCHI
diretto da Joel e Ethan Cohen
tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy

Alla fine, la morale che si desume dalla visione del film è “non dar da bere agli assetati”, considerato che una caritatevole azione da buon cristiano costa a Llewelyn Moss, l'uomo che trova una valigia piena di dollari, lo sterminio della sua famiglia. E non solo. Nel corso di una “caccia al ladro” ambientata tra il Messico e gli Stati Uniti, la corsa ad ostacoli dei concorrenti al premio Oscar per l'avidità vede stramazzare ai margini delle varie piste (aeroporti, autostrade...) un numero di morti degno dei migliori OK Corral, in una escalation di violenza gratuita ed esasperata che sembra essere il leit motiv del film.
Il tragico epilogo di un prologo dalle premesse poco rassicuranti è la morte violenta dello stesso Llewelin, un uomo che era stato capace di sopravvivere alla guerra del Vietnam, ad una moglie un po' scema, ad una suocera petulante.
Llewelin, occasionale cacciatore tutto sommato onesto, non ha saputo rinunciare alla possibilità di dare una svolta radicale alla propria modesta esistenza da saldatore, anche se la fortuna gli si è presentata in modo eticamente scorretto: la valigia contenente due milioni di dollari, corredata di sensori, era accanto ad un cadavere. L'eccessiva tensione creata nello spettatore dalla crudezza delle scene violente viene smorzata da occasioni di dialoghi di natura morale, introspettiva, retrospettiva sui quali i vari protagonisti si confrontano, connotandoli di pretese didascaliche.
La scelta del doppio registro stilistico dell'alternanza degli eventi con le riflessioni sembra essere motivato dall'esigenza di sostenere e riempire di contenuti escatologici una trama dagli esiti scontati che ha come chiave di lettura la vittoria del binomio ricchezza-violenza sui valori onestà-solidarietà.
In realtà lo scheletro portante del film, generosamente premiato, è lui, Javier Bardem, l'imperturbabile killer Anton Chigurg, Florentino Ariza de “L'amore ai tempi del colera”; frate Lorenzo de “L'ultimo inquisitore”.
Presenza scenica ingombrante e carisma esuberante oscurano un po' gli altri personaggi, comunque studiati con attenzione nelle loro caratterizzazioni: il commerciante, lo sceriffo, l'aiutante...
Anche pettinato con una acconciatura “copia e incolla” da Shel Shapiro, il famoso leader dei Roks, e armato di una pistola “ a punzone” ad aria compressa ( un’arma pneumatica usata negli impianti di macellazione delle carni per stordire gli animali prima di provocarne la morte per dissanguamento) modificata e potenziata per renderla letale, l'inquietante killer conserva una dimensione umana conferitagli dal rispetto di personalissimi codici deontologici.
Si muove con incedere sicuro e determinato, con l'espressione algida dell'anaffettivo che ha già chiuso tutti i conti col mondo. La fissità dello sguardo è quella di chi non conosce terremoti emotivi, ma persegue l'unica meta che si è prefissato nella vita; caparbietà già testata da Javier Bardem nei ruoli dei precedenti film. Ruoli da perseverante, modellati con la perfezione di abiti sartoriali su una personalità prorompente da protagonista incontrastato, capace di imprimersi nella memoria dello spettatore che, a distanza di tempo, del film dimenticherà molto, ma non lui, il suo viso singolare, l'irregolarità di quei tratti che sembrano predestinarlo a personaggi dalle tinte forti.
Ha gioco facile in questo film ambientato in un paesaggio texano dalle connotazioni simili all'animo perverso dello spietato killer: arido, bruciato, inospitale, piatto.
La strada che porta al denaro sarà tracciata dal sangue delle numerose vittime, ma non dal suo, anche se il destino riesce dove altri hanno fallito: un casuale incidente d'auto lo tramortisce. Ma lui esce dall'auto e, seppure malconcio, politraumatizzato e con una frattura scomposta al braccio, si allontana sulle sue gambe.
Che i fratelli Coen o Cormac Mc Carthy lo abbiano lasciato in vita per un sequel?

Daniela

P.S. Per chi proprio lo volesse sapere, riferiamo che il titolo del film è il primo verso di una poesia del poeta irlandese William Butler Yeats intitolata “ Sailing to Byzantium” in cui l’autore immortala le generazioni destinate a scomparire, e parla di ciò che “ è passato, sta passando e sta per venire”. Le parole sono di riferimento allo stato d’animo dello sceriffo che pensa alla sua imminente vecchiaia turbato dalla misteriosa natura del male e dalle sue devastanti conseguenze.

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