“Fai
bei sogni”
Massimo
Gramellini
No, dico … ma siamo
impazziti?! Un milione di copie vendute, quattro edizioni in un anno, 225.000
copie in una settimana, il libro più venduto del 2012… Molto rumore per nulla.
Più di trecento riletture, sei mesi circa di correzioni ed una squadra di 12
editor per confezionare un prodotto destinato per nascita (al pari del Royal baby) a regnare sulle
classifiche delle vendite di libri.
Onore e merito al padrino
di battesimo, Fabio Fazio, che sembra aver raccolto l’eredità di Maurizio
Costanzo. Per più di 20 anni il Costanzo Show ha decretato il successo di chi
aveva il pass per accomodarsi nel salotto della vetrina televisiva più seguita
d’Italia.
Da un po’ di tempo, lo
scettro di Re Mida del piccolo schermo è passato nelle mani di Fazio: nelle
vesti di anchorman di programmi calcistici e revival musicali, di presentatore
del Festival, di conduttore di format di approfondimento comico – satirico con
spunti meteorologici, gli indici di ascolto e di gradimento sono sempre
garantiti.
La risoluzione dell’ormai
esausto connubio tra Fazio ed il paludoso Saviano ha spalancato le porte al
gioviale Massimo Gramellini, giornalista sportivo, ironico q. b., sentimental
popolare tanto da dirigere la rubrica di “ posta del cuore” dello “Specchio” ,
oscurando così la fama di “Donna Letizia”
e della “Contessa Clara”! Ma di quali credenziali è in possesso, il
giurista-giornalista, per teorizzare soluzioni placebo per cuori in affanno?
Almeno Crepet e Pasini, gli psichiatri – scrittori, possono vantare titoli
accademici, specializzazioni e impegno professionale negli ambiti di pertinenza
dei tormenti esistenziali.
Far riferimento unicamente
al proprio vissuto, quale fonte di saggezza dalla quale attingere consigli,
esortazioni e moniti ci sembra un po’ riduttivo.
Scorrendo le note
biografiche troviamo:
un grave lutto (e quello
ce l’abbiamo tutti!)
due mogli (oggi
costituiscono la normalità!)
la difficoltà a
relazionarsi con le donne (e chi le ha mai capite!)
una figura genitoriale
fredda e distaccata (come lo erano tutti i padri di una volta!)
un percorso di vita tutto
in salita … fino all’incontro con l’Amore (mah…!)
Non bastavano Volo e
Moccia ad ammorbarci con storie di questo tipo!
Ci son volute 200 pagine
di puntelli di sostegno per sorreggere una struttura fragile, la storia
autobiografica dell’elaborazione di un lutto, della sublimazione del dolore nel
perdono.
La caratterizzazione del
protagonista è prevalentemente di natura psicologico-comportamentale.
L’improvvisa assenza dell’amorevole figura
materna ingenera nel bambino Massimo “un bisogno disperato di dichiarare guerra
al mondo intero” e, allo stesso tempo, la consapevolezza che i nemici dai quali
difendersi albergano in sé stesso. “Chi
è stato abbandonato si sente colpevole di qualcosa d’indefinito”. Massimo contrasta
il senso di colpa rifiutando la realtà, negando la morte della madre e coltivando
la segreta speranza di vederla improvvisamente ricomparire. La figura materna è
mitizzata, trasfigurata dallo specchio deformante della memoria, ma il non
sentirsi più amato nutre il demone dell’aggressività. C’è un mostro dell’anima,
Belfagor, che si alimenta delle sue paure: sfiducia, rifiuto, abbandono, senso
di disagio e inadeguatezza. Un mostro che lo rende incapace di alzare gli occhi
al cielo, di tenere i piedi ben piantati a terra, che lo indirizza verso scelte
sbagliate: gli studi universitari, la fidanzata sempre smaniosa di vedersi
riconfermare il suo fascino. Un mostro che lo rende incapace di inseguire i
suoi sogni perché i sogni sono radicati nell’anima e la sua è anestetizzata dal
dolore.
Ma il lieto fine è in
agguato; è nascosto in un ritaglio di giornale che viene consegnato a Massimo
in una busta misteriosa con 40 anni di ritardo…..proprio come le Poste
Italiane. La busta, in effetti, è comparsa nella prima pagina, ma lo scrittore
è ricorso all’ordo artificialis, procedimento che interrompe la narrazione per
raccontare i 40 anni precedenti e stimolare così le aspettative del lettore. Il
mistero svelato, in effetti, rimanda al sensazionalismo dei proclami di Carlo
Taormina nel “caso Cogne”: colpi di scena destinati a sgonfiarsi come
palloncini non ancora annodati che sfuggono di mano con traiettoria irregolare
e suono isterico! Quando finalmente il mistero è svelato siamo già verso
pag.180 e neanche gli editor sanno più cosa inventarsi per evitare un finale un
po’ frettoloso, sdolcinato , dagli esiti scontati: lui, lei e il cagnolino
bianco ( sarà mica Dudù?!)
Un quadretto famigliare
già abusato in pubblicità e proclami politici.
“ E’ che mi è sempre
piaciuto il lieto fine” si giustifica l’autore,
ormai depurato dopo un soggiorno nel centro benessere “Le terme dell’anima”.
“Una lettura da
ombrellone”, ci giustifichiamo noi, ormai alleggeriti dei 15,00 euro destinati
al “fatebenefratelliautori” consorzio di scrittori-venditori di sogni e belle
speranze con penna leggera e tasche pesanti.
In fin dei conti
il libro si legge in una mattinata al mare. Scorrevole, anche troppo: sintassi
semplificata, periodi lineari, scelte lessicali generiche, poche citazioni
colte, molti contributi degli editor, qualche eccesso mellifluo, aforisma
iniziale di Eric Hoffer pertinente, struttura narrativa in ordine indiretto,
registro medio-colloquiale. Un mix di elementi ben armonizzati per la
costruzione di un prodotto destinato al pubblico dei cinepanettoni, quelli che
leggono o vanno al cinema per distrarsi ma che provocano improvvise positive
impennate nei riscontri di cassa e botteghino. Parafrasando Oscar Wilde "parlate pure male di me, purchè ne parliate" dobbiamo
augurarci “…..….purchè si legga!!!”
Daniela Gerundo
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