lunedì 5 maggio 2008

Erri De Luca è un GRANDE!
Provare a leggere per credere...

Sally ti presento ….Erri in
“Non ora, non qui”

La foto che lo ritrae sul suo sito sembra appartenere ad un fascinoso settantenne, invece di anni Erri De Luca ne ha 58.
Capigliatura chiara striata d’argento, baffetti a spazzola, tratti regolari, sguardo profondo quasi quanto le rughe che gli solcano il viso, reticolare testimonianza di scelte di vita radicali e spesso in contraddizione con quanto gli era stato destinato per nascita.
Nasce a Napoli e diventa esperto rocciatore.
Vive sul mare e scrive di montagna.
Nutre l’adolescenza di letture ma va malissimo a scuola.
Di estrazione borghese, diventa dirigente di Lotta Continua.
Avviato alla carriera diplomatica, fa l’operaio, il muratore, il camionista.
Non credente dichiarato, si dedica alla traduzione della Bibbia.
Comincia a scrivere a 20 anni, ma il primo romanzo lo pubblica a 40.
Scrive per Il Manifesto, per La Repubblica, ma anche per Vanity Fair.
La sua copiosa produzione letteraria spazia tra prosa, poesia e traduzioni, poiché ha studiato da autodidatta molte lingue tra cui lo yiddish e l’ebraico.
Scrive di Napoli come “ città viva e sveglia fino all’insonnia permanente”, sempre vigile, che ha derubricato il “fattore sorpresa” perché ha “preso carattere dall’allenamento del suo Mister, il Vesuvio”.
Eppure Erri non si sente napoletano, ma “napòlide”; uno che ha rifiutato etichette, che si è sdoganato dalle origini per consegnarsi al mondo, pur senza radicare da altre parti.
Un distacco, comunque, che non si traduce in disamore, ma che si connota come esigenza funzionale alla maturazione della consapevolezza di sé stesso.
Dalla necessità di intraprendere un viaggio interiore scaturisce l’interesse per l’ebraico antico e per le storie delle Scritture che lo accompagnano in una dimensione desertica, appagando il bisogno di accentuare il distacco dalla città natale.
Quasi una catartica e rigenerante immersione, in una remota dimensione, propedeutica per affrontare una quotidianità brutale, affollata di fantasmi. Un non-luogo ideale per un colloquio intimistico cercato da chi ha approfondito le distanze con Dio, escludendolo dalla propria vita.
L’assenza del Padre Celeste è compensata dalla presenza del padre naturale, che ha influenzato le scelte del figlio adolescente; era lui l’accanito lettore di “chili” di libri, lui l’alpinista esperto, lui che lo costringeva a parlare un italiano senza inflessioni.
Questa attenzione alla lingua parlata indusse il giovane Erri ad effettuare una scissione tra “il napoletano”, la lingua delle emozioni, degli strilli, dei litigi, e la lingua che stava dentro i libri, muta e bella da seguire, la lingua del padre. Ed è un italiano corretto e quasi poetico quello usato per scrivere il racconto “ Non ora, non qui” che si presenta come un monologo- confessione- amorevole rimprovero rivolto alla madre.
All’uso del dialetto lo scrittore ricorre raramente, solo per contestualizzare una storia di cui si ignorano i nomi del protagonista e dei componenti la sua famiglia: il padre, la madre, la sorellina. Dettagli non funzionali ad una narrazione che viaggia sui binari della memoria, destinazione infanzia violata, per scrivere una storia di disadattamento, di sentimenti repressi, di dolore lacerante; di un’esistenza vissuta in punta di piedi, quasi desiderando di rendersi invisibile. “Non l’ho fatto apposta” riecheggia continuamente nella mente del protagonista, quasi a volersi scusare per essere nato.
Sembra eccessivo tutto questo disagio se attribuito solo alla balbuzie che condiziona l’espressione verbale del protagonista - narrante. Un complesso di Edipo irrisolto sarebbe una giustificazione sbrigativa e approssimativa. Ma non ci viene incontro l’autore nella ricerca di altre cause che possano aver provocato danni irreversibili, anzi si sofferma su particolari che si prestano a una doppia lettura. Ci riferiamo alla leggenda sulla balbuzie descritta a pag. 9 che così prosegue “ Nelle notti del bambino che fui veniva spesso un angelo a bussare alla mia bocca, ma io non riuscivo ad aprirla per dargli il benvenuto. Dopo un po’ se ne andava e nel buio restavano le sue piume e le mie lacrime”.
L’infanzia del protagonista è vissuta tra vicoli umidi e chiassosi dove ogni genere di sopruso viene perpetrato sui soggetti più deboli, spesso bambini già deprivati che subiscono la sproporzionata violenza degli adulti. E non solo di violenza fisica si tratta. Quella di cui è fatto oggetto il protagonista ad opera della madre è una violenza più sottile ma più devastante perché non è del tipo che lascia lividi, emorragie o segni evidenti. E’ la violenza delle parole di una donna delusa che, incurante dell’inadeguatezza del giovane figlio come interlocutore, gli scarica addosso le proprie frustrazioni raccontandogli episodi di ferocia e bestialità umana che solcano l’animo del bambino lasciando indelebili cicatrici.
Altri dolori segneranno la sua fragile psiche: la morte del migliore amico, quella del padre e, da adulto, la perdita della moglie, sposata senza amore proprio per la paura della labilità dei forti sentimenti.
Trasuda dolore, desolazione, malinconia questo romanzo in cui la morte aleggia spesso, tra luoghi, oggetti, persone fino a rapire lo stesso protagonista.
La narrazione evolve attraverso una serie di ricordi che non seguono un ordine cronologico ma sembrano dei flash back sollecitati da un proprio itinerario mentale confuso dalle intermittenze di un’emotività disordinata, da un’affettività disturbata e da immotivati sensi di colpa tipici di chi ha subito un danno.
Scritto con l’attenzione eccessiva che si riserva all’opera prima a volte la narrazione perde d’intensità vestendo l’abito buono dell’esercizio stilistico, il che allenta la tensione emotiva nel lettore.
In taluni tratti la lettura perde scorrevolezza per il ricorso alla frammentazione della sintassi, più elegante ma meno immediata.
Stiamo, però, parlando del primo libro di Erri De Luca uscito nel 1989.
Vale la pena seguire, attraverso la successiva produzione letteraria, il percorso di crescita di un narratore che ha mostrato di possedere una radicata sensibilità, una profonda umanità e una coerenza non comune.

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